DI FRONTE AL MOLTIPLICARSI DELLE INCERTEZZE, LA LIQUIDITÀ DEGLI ITALIANI È AUMENTATA. MA NEL TEMPO QUESTA SCELTA NON PAGA. ECCO INVECE QUANTO PUÒ RENDERE INVESTIRE QUESTO DENARO NEI FONDI INTEGRATIVI
La crisi farà salire le richieste per il meccanismo previdenziale detto Quota 100, che sta diventando un altro ammortizzatore sociale per chi è vicino alla pensione e ha perso il lavoro: una situazione nella quale si sono trovati molti lavoratori che all’improvviso hanno dovuto fare i conti con chiusure delle attività, aziende in gravi difficoltà e conseguente perdita o decurtazione della retribuzione.
L’emergenza sanitaria del Covid-19 ha anche insegnato, ai più imprudenti, che bisogna cercare di essere il più previdenti possibile per non farsi trovare scoperti quando scoppiano shock improvvisi. Questo vale non soltanto per le aziende o per il settore pubblico, ma anche per la gestione della propria situazione economica.
Famiglie italiane e risparmio
Lo sanno bene le famiglie italiane che per timore di affrontare un periodo di emergenza finanziaria hanno aumentato il risparmio parcheggiato sui conti nelle settimane della crisi.
Già a fine 2019, come rileva la Banca d’Italia nella sua ultima Relazione annuale, erano parcheggiati tra conti e liquidità 1.460 miliardi di euro. Quest’anno, stando ai dati Abi, i depositi sono saliti di altri 30 miliardi soltanto nel corso di marzo ed aprile, nel pieno della pandemia del coronavirus. Una scelta che rassicura nel breve termine ma che potrebbe rivelarsi poco efficiente nel lungo periodo.
La previdenza complementare
Qui entra in gioco la previdenza complementare perché permette di diminuire l’incertezza di uno dei periodi nei quali per definizione le incognite sono maggiori, ovvero la fase successiva al pensionamento.
L’obiettivo è quello di mantenere un tenore di vita il più possibile simile a quello dell’attività lavorativa. Iniziare presto permette di sfruttare il fattore tempo per aumentare il montante contributivo.
Quanto può fruttare un investimento in un fondo pensione?
Per capire quanto può fruttare un investimento in un fondo pensione rispetto all’ipotesi di tenere i risparmi depositati sul conto corrente Progetica, società indipendente di pianificazione finanziaria, ha calcolato per MF-Milano Finanza capitale e rendita a fine carriera di un lavoratore che avesse aderito per tempo a uno strumento di previdenza complementare.
Sono state fatte a questo riguardo tre simulazioni.
La prima calcola quale rendita integrativa vitalizia potrebbero ottenere dei 30-40-50enni che investissero, rispettivamente 100, 200 e 300 euro al mese fino al momento della pensione, in linee a basso e a medio-alto rischio.
Andrea Carbone, partner di Progetica, spiega che:
«Abbiamo evidenziato l’indice di efficienza, pari al rapporto tra la somma delle rendite attese a vita media e la somma dei versamenti al netto del beneficio fiscale, per meglio comprendere le dinamiche per i cinquantenni altrimenti leggerebbero che versando 300 euro ne ottengono di meno: il motivo risiede naturalmente nel diverso orizzonte temporale di versamenti e rendite».
I risultati mostrano, come sempre, che tempo e mercati sono, soprattutto nel lungo periodo, un prezioso alleato per integrare la propria pensione.
Ad esempio un trentenne con un contributo mensile al fondo pensione di 100 euro, al momento di lasciare l’attività a 65 anni e cinque mesi, secondo la normativa attuale, otterrebbe, con un’adesione a una linea a rischio basso, una rendita vitalizia mensile netta di 135 euro (indice di efficienza del 152%) e di 209 euro scegliendo una linea a maggior contenuto di rischio, con un indice di efficienza del 237%.
Carbone aggiunge:
«Inoltre per sollecitare il tema dei denari bloccati sul conto corrente abbiamo mostrato l’evoluzione del risparmio parcheggiato senza rivalutazioni ed eroso dall’inflazione. Qui abbiamo stimato un’inflazione all’1,26% in base a un’elaborazione probabilistica. I numeri mostrano come, sia al netto che al lordo dell’eventuale beneficio fiscale, la differenza sia evidente, soprattutto per i più giovani».
Per omogeneità di confronto Progetica ha considerato il caso in cui il lavoratore possa ottenere dal fondo a fine attività il 100% del capitale al posto dell’opzione 50% capitale e 50% rendita: una condizione che non sempre si può verificare, ma che è sempre applicabile attraverso la Rita (ovvero la Rendita Integrativa Temporanea Anticipata, una somma a rate che si può chiedere al fondo pensione quando si è vicini alla cessazione dell’attività).
Soprattutto per i più giovani, c’è una differenza potenzialmente superiore al 100%.
Ad esempio, il trentenne del caso precedente si ritroverebbe sul conto poco più di 34,9 mila euro a 65 anni e cinque mesi, mentre i suoi 100 euro al mese, se versati in un fondo, potrebbero produrre un capitale di 41.200 euro nel caso avesse scelto un comparto a rischio basso e 64.100 euro in uno a rischio medio-alto, con una differenza tra conto e fondo che arriva all’84%.
Per un quarantenne il capitale al pensionamento (65 anni) nel caso di 200 euro accantonati al mese sul conto sarebbe di 53,4 mila euro, mentre nel fondo salirebbe a 56 mila euro per il profilo a rischio basso e di quasi 77 mila euro per l’alto rischio, il 44% in più. E questo nell’ipotesi di assenza di benefici fiscali legati alla possibilità di dedurre i contributi versati nel limite annuo di 5.164 euro l’anno (come è il caso ad esempio dei lavoratori autonomi con regime agevolato). Considerando la deducibilità, la distanza tra i due capitali aumenta.
Per il trentenne si arriva al 116% (34,9 mila euro contro 52,6 mila euro per la linea a rischio basso e 75,5 mila euro per il rischio medio alto), per il quarantenne all’80% (53,4 mila euro a fronte di 75,2 mila euro nel profilo meno rischio e 96 mila euro in quello a maggior contenuto azionario) e per il cinquantenne al 61% (61,1 mila euro del conto si confrontano con gli 83 mila euro del fondo a rischio contenuto e a 98,1 mila euro per quello più volatile).
Claudio Grossi, partner di Progetica, afferma:
«queste sono le stime effettuate con un’inflazione tendenziale all’1,26%. Se invece i prezzi dovessero salire del 2,5% il montante si ridurrebbe di oltre un terzo».
Uno scenario non del tutto improbabile, visto quanto sta accadendo in queste settimane complicate, dove alle incertezze sanitarie si sommano le incertezze sulle prospettive lavorative.
Andrea Carbone:
«Per tutti coloro che hanno la possibilità di accantonare o continuare ad accantonare, un piano di previdenza integrativa può aiutare a costruire un futuro più sereno».
Non a caso nelle settimane della crisi e della maggiore ricerca di protezione Azimut ha registrato un aumento delle sottoscrizioni dei fondi pensione, mentre Fineco, per raggiungere direttamente i risparmiatori, ha avviato il collocamento di fondi in modalità totalmente digitale.
Dati sugli iscritti ai fondi pensione 2020
Nel primo trimestre 2020, nonostante la situazione difficile, gli iscritti ai fondi pensione sono saliti ancora, anche con un ritmo inferiore rispetto al trimestri precedenti. I dati Covip segnalano nei tre mesi un incremento dello 0,67% (68 mila unità) del numero di posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari a quota 9,185 milioni; questo numero include chi aderisce contemporaneamente a più forme e il totale degli iscritti può essere stimato in 8,325 milioni.
Il patrimonio a fine marzo 2020 è pari a circa 180 miliardi di euro, in calo da fine 2019 del 2,3% per via delle turbolenze dei mercati dato che nel periodo e in particolare dalla seconda metà di febbraio i listini di tutto il mondo hanno accusato pesanti perdite. Ma di fronte a questi ribassi i fondi pensione hanno comunque dato prova di reggere all’urto dell’epidemia.
I fondi negoziali hanno perso il 5,2, il 7,5 e il 12,1%, rispettivamente, i fondi aperti e i pip (piani individuali pensionistici) di ramo III (polizze che investono in fondi), caratterizzati in media da una maggiore esposizione azionaria.
Per le gestioni separate di ramo I (polizze concentrate sulle obbligazioni), che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dalle cedole incassate sui titoli detenuti, il risultato è stato positivo (0,4%).
«Valutando i rendimenti su orizzonti più propri del risparmio previdenziale, l’impatto della crisi appare più limitato», afferma la commissione di vigilanza sui fondi pensione presieduta da Mario Padula.
Nei dieci anni e tre mesi da inizio 2010 a fine marzo 2020, il rendimento medio annuo composto è stato del 3% i fondi negoziali e i fondi aperti e del 2,4% per i Pip di ramo III; restano pari al 2,5% i prodotti di ramo I. La rivalutazione del tfr che resta in azienda e non viene versata ai fondi nello stesso periodo si conferma inferiore e pari al 2%.
Il sistema ha mostrato una certa resistenza di base anche per quanto riguarda i flussi di contributi. «In ogni caso ci sono state iniziative volte a tener conto della situazione di difficoltà in cui possono versare le aziende di riferimento e che consentono a queste ultime ritardare il versamento dei contributi del datore di lavoro e del tfr relativi al primo trimestre», osserva Covip.
Una misura per andare incontro a interi settori messi in ginocchio dalla crisi provocata dalla pandemia che, secondo il Centro studi e ricerche Itinerari previdenziali (si veda intervista), produrrà oltre 1 milione di nuovi disoccupati.
Per cui, anche se Covip nel primo trimestre non rileva cambiamenti significativi di versamenti contributivi e di prestazioni, è molto probabile, prevede Itinerari Previdenziali, che nell’anno ci sia un aumento delle domande di anticipazioni ai fondi (si tratta della quota del 30% del proprio montante accumulato che può essere prelevato dal fondo senza dover indicare la motivazione) o dei riscatti, oltre a una possibile diminuzione dei flussi contributivi.
Nel post Covid la priorità dell’Italia è il lavoro perché senza questo non c’è sistema di welfare che tenga e rimandare è pericoloso.
L’articolo proviene da Milano Finanza.