Assicurazioni, ecco perché gli italiani si proteggono poco (e male)
di Riccardo Viale
Mi sono spesso chiesto che senso avesse usare il termine premio per identificare ciò che un assicurato deve pagare all’assicuratore. Più che un premio a prima vista sembrerebbe una gabella. Questo mio stupore deriva dall’ ignoranza sia delle origini storiche che del significato dell’assicurazione. Il termine deriva dalla parola «premio» utilizzata nell’ambito delle scommesse già durante l’impero romano. In particolar modo nel settore dei trasporti ove, a partire dal XII secolo in Italia, per assicurare il carico di una nave mercantile, un soggetto assicuratore scommetteva un determinato premio sull’effettivo arrivo a destinazione di un carico di merce, mentre il soggetto assicurato scommetteva sull’evento opposto (es. naufragio). A seconda dell’esito finale del trasporto marittimo una delle due parti, l’assicurato o l’assicuratore, vinceva il premio.
La genesi del termine premio ci collega al valore economico e sociale dell’assicurazione. Come sosteneva Daniele Franco, un anno fa, un settore assicurativo efficiente che sostenga famiglie e imprese nella gestione dei propri rischi è uno dei fattori che contribuiscono ad accrescere il benessere della società e la competitività del sistema economico. In particolare, i paesi con mercati assicurativi più sviluppati sono caratterizzati da una maggiore disponibilità di capitale per investimenti, da una minore volatilità delle variabili macroeconomiche e, in generale, da una maggiore resilienza del sistema economico nel suo complesso.
La gestione dei danni
A livello sociale la diffusione dei servizi assicurativi consente di assorbire in modo efficiente i danni derivanti da situazioni sfavorevoli di varia natura (incidenti, malattie, catastrofi naturali, ecc.); riduce le condizioni di vulnerabilità rispetto a eventi che possono colpire la salute, il patrimonio, la capacità di generare reddito. Questa consapevolezza sembra però problematica nel nostro paese.
Il rapporto Bicocca-Doxa per Ivass
Come emerge dai dati del Rapporto Ivass su Conoscenza e Comportamento Assicurativo in Italia (in assoluto il primo rapporto al mondo a livello di nazione) realizzato da Università di Milano-Bicocca e Doxa, in collaborazione con la Herbert Simon Society, il nostro paese è caratterizzato da preoccupanti distorsioni conoscitive e comportamentali. Ad esempio il 60% afferma di conoscere i tre principali concetti assicurativi (franchigia, premio e massimale) mentre chi risponde correttamente è solo il 13,90%. Riguardo alla conoscenza dei prodotti assicurativi (infortuni, temporanea caso morte, vita e previdenza complementare) solo una persona, in un campione di 2053 individui, è riuscita a rispondere correttamente a tutte le domande. Invece chi afferma di conoscerle è in media il 38%.
Il «bias dell’autonomia»
Questa overconfidence nella conoscenza è preoccupante soprattutto correlata al «bias dell’autonomia». Il 68,7% delle persone, soprattutto di sesso maschile (72,3%), si ritiene molto competente in materia assicurativa e non si affida né ai consigli dell’assicuratore né a fonti informative esterne. Questo dato riflette quindi un’autonomia a basso tasso di alfabetizzazione e quindi tendenzialmente poco efficace ed efficiente nelle scelte assicurative. L’overconfidence si accompagna ad una certa scissione fra la rappresentazione del rischio ed il comportamento conseguente per proteggersi dalle conseguenze dello stesso. Paradossalmente anche se il timore connesso alle calamità naturali è maggiore nel Sud e nelle Isole rispetto al Nord, è proprio al Nord che si riscontra una maggiore percentuale di sottoscrizione di queste polizze (circa 20% vs. Sud nel 10,4% e Isole nel 4,1%).
I timori per salute e infortuni
Questa scissione si riscontra poi per quanto riguarda i timori più sentiti per il presente o il futuro. Fra i più sentiti emergono i problemi di salute per malattie o infortuni (76,7%), ma coloro che sottoscrivono una Polizza Malattie sono solo il 10.6% del totale degli intervistati, percentuale che sale al 20,2% per la Polizza Infortuni. Vi è quindi un chiaro disallineamento fra autorappresentazione del proprio comportamento assicurativo in rapporto all’avversione al rischio e reale scelta assicurativa.
«Speriamo succeda agli altri e non a me»
Per quanto riguarda salute ed infortuni la spiegazione può essere la presenza di uno sconto temporale, unito al bias dell’ottimismo per cui si pensa che, pur essendo il rischio salute una reale preoccupazione, esso viene svalutato in quanto proiettato in un futuro remoto e si ha la speranza che sia più un problema degli altri che proprio. D’altra parte, la rappresentazione del rischio prevede che il sistema della salute pubblica garantisca, di fatto, una tutela sostitutiva a quella offerta dalla assicurazione privata. Per quanto riguarda le catastrofi naturali nel Sud e nelle Isole, oltre allo sconto temporale, in questo caso può essere attivo il bias della fallacia dello scommettitore che porta a considerare meno probabile un evento quando si è già manifestato.
La figura dell’assicuratore
Un altro dato interessante è il ruolo decrescente della fiducia come fattore portante nella scelta assicurativa soprattutto nelle fasce più giovani, acculturate e fra i sottoscrittori di polizze online. Il tradizionale modello dell’assicuratore come persona di fiducia, che veniva a casa e con cui si aveva un rapporto quasi come con il medico di famiglia, si sta indebolendo a favore della trasparenza e semplicità dei prodotti e della professionalità dell’assicuratore.
Come si sceglie la polizza
Infine, quando gli intervistati sono chiamati a scegliere quale sia la loro attitudine verso il comportamento assicurativo, solo l’8,4% conferma che l’assicurazione non abbia senso, mentre il 21,2% fa propria la convinzione che bisogna assicurarsi solo contro rischi molto probabili ed il 70,4% anche per quelli poco probabili. Anche se poi dalle parole non seguono i fatti.