CHE SI VADA A TEMPO DEBITO O IN ANTICIPO, L’ASSEGNO PREVIDENZIALE SARÀ MAGRO. È NECESSARIO DA SUBITO RISPARMIARE CON I FONDI PENSIONE.
Purtroppo sulle pensioni non ci si può illudere: qualsiasi forma si scelga per smettere di lavorare, l’assegno previdenziale sarà molto più basso dell’ultimo stipendio e in futuro potrebbe esserlo ancora di più se l’economia italiana non crescerà a sufficienza.
Le previsioni non sono incoraggianti e neppure lo sono i dati Istat sull’occupazione resi noti nel febbraio 2021: nel solo mese di dicembre 2020 ci sono stati 101mila lavoratori in meno, in maggioranza donne, e la disoccupazione giovanile ha toccato il 29,7%.
Sono tanti i fattori che vanno tenuti presenti quando si parla del futuro del sistema pensionistico: le spese previdenziali e sanitarie che pesano sul Pil, il prodotto interno lordo, l’andamento dell’economia (e nei prossimi anni si faranno sentire gli effetti dell’emergenza sanitaria causata dal Covid), l’occupazione giovanile, la diminuzione delle nascite e l’aumento della vita media.
Secondo l’Istat, tra vent’anni gli italiani con 90 anni o più saranno quasi 1,3 milioni, mentre nel 2019 erano circa 740mila.
In una società sempre più anziana e con un tasso di occupazione giovanile in calo, chi pagherà la pensione alle persone che smetteranno di lavorare nei prossimi anni? Quota 100: in pochi se la possono permettere Fino a fine dicembre 2021 ci sarà ancora la possibilità di usufruire della cosiddetta Quota 100 per andare in anticipo in pensione (62 anni, 38 anni di contributi). In realtà, non è molto conveniente: l’assegno pensionistico è ancora più magro di quello che si riceve con la pensione di vecchiaia. Chi ha uno stipendio di 2.000 euro, per esempio, riceverà un assegno previdenziale decurtato di almeno il 30%. L’introduzione di Quota 100 mirava anche a liberare posti di lavoro a favore dei giovani.
Ma, come affermò l’ex presidente dell’Inps Tito Boeri quando venne introdotto il provvedimento:
“Il mercato del lavoro non è un autobus all’ora di punta in cui si sale solo se scende qualcuno. Il numero dei posti di lavoro non è fisso e questa misura avrà come effetto non una maggiore occupazione, ma un maggior peso sulle tasche dei giovani”.
Il fardello previdenziale grava sui giovani
Secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale, a partire dal 2045 avremo un solo lavoratore che verserà i contributi per ogni singolo pensionato, in un rapporto 1:1. Data questa previsione, le pensioni anticipate non sembrano essere certo una misura sufficiente a invertire la rotta. Per consentire alle persone di lasciare prima del tempo il lavoro, sarebbe necessario creare i presupposti perché possano farlo in modo economicamente sostenibile, per sé e per l’intero sistema previdenziale.
Come si forma la pensione
È chiaro che le sorti delle nostre pensioni dipenderanno non solo dalla carriera lavorativa, ma anche dall’andamento del Pil italiano: se l’economia italiana crescerà del 2-3% annuo, le pensioni saranno più ricche, se invece il tasso sarà dello “zero virgola” saranno più basse.
Ma su quali parametri si calcola la pensione?
- Il primo è ovvio: più si versano contributi durante la vita lavorativa, più importante sarà il montante pensionistico;
- Il secondo è legato all’andamento del Pil, perché la rivalutazione dei contributi dipende dalla media quinquennale del tasso di crescita della ricchezza del Paese;
- Il terzo parametro è il coefficiente di trasformazione, che viene utilizzato per convertire in pensione annua il montante individuale maturato. Varia in base all’età in cui si va in pensione: più tardi si andrà, maggiore sarà l’importo della pensione perché minore sarà l’aspettativa di vita.
Facciamo qualche calcolo
I contributi che si versano, rivalutati ogni anno, e la loro somma, al momento di andare in pensione, formano il montante pensionistico. Il montante viene moltiplicato per un coefficiente di trasformazione che dipende dall’età: da questo calcolo si viene a sapere la pensione lorda. Ad esempio, se il montante è di 700.000 euro, il coefficiente di trasformazione a 67 anni è di 5,575%: la pensione lorda annua sarà di 39.025 euro.
La situazione non migliorerà
Ogni due anni i coefficienti di trasformazione sono rivisti. Dallo scorso gennaio è scattato un nuovo adeguamento al ribasso: per esempio, chi va oggi in pensione a 67 anni, per ogni 1.000 euro di montante contributivo accumulato durante la vita lavorativa riceverà 55,75 euro lordi annui di pensione (prima ne aveva 56,04 euro). Su una pensione netta mensile di 2.000 euro sono 5 euro in meno. Se si guarda all’evoluzione storica dei coefficienti, si scopre che per una persona di 67 anni, dal 2009 a oggi, si è passati dal 6,136% al 5,575% (cioè da 61,36 euro ogni 1.000 euro di montante contribuivo a 55,75 euro): questo significa che una pensione netta mensile di 2.100 euro in una dozzina di anni è scesa a 2.000 euro. Fondi pensione: una risorsa Dunque, chi va in pensione riceverà un importo più basso rispetto allo stipendio (ovviamente ci sarà differenza tra un operaio e un manager). Inoltre, a influire negativamente c’è anche la situazione incerta dell’economia italiana. Il nostro consiglio è di risparmiare per integrare la pensione futura. Uno dei modi migliori è aderire ai fondi pensione. Qui sotto trovi il link al nostro sito per sapere come funzionano e come aderire.
SMETTERE DI LAVORARE
Quota 100 è una forma di pensione ‘prematura’ che permette di anticipare l’accesso al trattamento pensionistico se si hanno almeno 62 anni di età e almeno 38 anni di contributi versati.
Pensione di vecchiaia è un trattamento pensionistico che viene erogato al raggiungimento di un’età anagrafica fissata per legge (oggi a 67 anni), in presenza di una contribuzione non inferiore a 20 anni. Nonostante la presenza di requisiti contributivi specifici (20 anni di versamenti per l’Inps), ciò che fa la differenza per la pensione di vecchiaia è proprio il limite anagrafico.
Pensione di anzianità è il trattamento pensionistico a cui si può accedere prima della soglia anagrafica prevista dalla pensione di vecchiaia a fronte di un certo numero di anni di contributi (l’anzianità contributiva). Il termine ‘pensione di anzianità’ oggi resiste ancora per identificare le possibilità di andare in pensione senza aspettare quella di vecchiaia, come per esempio raggiungere 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi se donna), anche se di fatto la Legge Fornero ha formalmente eliminato la pensione di anzianità, che ora si chiama ‘pensione anticipata’.
I REQUISITI
Fino al 2022 compreso, si andrà in pensione a 67 anni con 20 anni di contributi. Se si è nel sistema contributivo, oltre ai 67 anni di età e ai 20 di contribuzione, è necessario anche che la pensione sia 1,5 volte il valore dell’assegno sociale (nel 2020 pari a 5.977,79 euro annui). Successivamente è previsto che ogni due anni il requisito anagrafico aumenti di 3 mesi: di conseguenza, nel 2023-2024 l’età minima prevista sarà di 67 anni e 3 mesi e così via.
C’è la possibilità di una pensione anticipata: fino al 2026 compreso, chi ha maturato 42 anni e 10 mesi di contributi (se uomo) e 41 anni e 10 mesi (se donna) può andare in pensione indipendentemente dall’età. Inoltre, chi è nel sistema contributivo, può anticipare di 3 anni l’uscita rispetto all’età della pensione di vecchiaia (dunque oggi 64 anni), a patto di avere 20 anni di contributi e che la pensione sia pari a 2,8 volte l’assegno sociale.
Infine, il 2021 è l’ultimo anno per sfruttare ‘Quota 100’ (è necessario avere minimo 62 anni di età e 38 di contributi) ed è stata rinnovata anche per quest’anno ‘Opzione donna’, con la quale le lavoratrici dipendenti di età minima di 58 anni (59 anni le autonome) e 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2020 possono andare in pensione in anticipo. Devono però accettare che la loro pensione sia calcolata interamente con il metodo contributivo (quindi più penalizzante).
Queste sono le regole generali. La legge poi prevede ulteriori casi particolari, come per esempio i lavori usuranti, che prevedono regole e percorsi dedicati.
Articolo integrale di AltroConsumo
Condividiamo anche un focus particolare sulla situazione di chi per un periodo svolge attività dipendente in un paese straniero: deve infatti poi fare i conti con i differenti spezzoni contributivi.
Articolo integrale di AltroConsumo